GoodMorning Milano

Un futuro silenzioso, green ed innovativo

Nell’autofficina Nuova Suma è in corso un’innovazione, Vladimiro Longo e Massimiliano Longo hanno deciso di intraprendere un nuovo processo per l’elettrificazione delle automobili sotto la guida di Gaetano La Legname. La conversione in macchina elettrica porta notevoli benefici a partire dalla possibilità di non rottamare una vecchia auto, dall’inquinamento al silenzio pacifico che le macchine elettriche garantiscono e all’innovazione.

A Milano, nell’ultimo periodo, sono state aperte aree apposite per la circolazione esclusiva di automobili elettriche, quindi anche in questa prospettiva si vedono dei benefici notevoli. Le normative attuali inoltre prevedono per alcune macchine, dopo un certo tempo di utilizzo e con un certo tipo di motore, la loro sostituzione, allora perché non farle divenire elettriche?

Ma come avviene questa conversione? È stato creato un kit apposito per i diversi tipi di automobile e di base il processo è il seguente: vengono messe delle batterie, lasciato il cambio, tolti serbatoio e motore endotermico che viene sostituito con uno elettrico ed infine vengono ricollegati uno con l’altro tutti i servizi di bordo della macchina come il servosterzo.

Ricaricare l’auto è semplice, si può fare da casa o nelle tipiche colonnine adibite a ricarica auto elettriche e l’autonomia di una ricarica completa può arrivare anche a più di 250 km. Un passo in più verso un futuro silenzioso, green e innovativo.

Per saperne di più: www.nuovasuma.it e www.mobilityrevolution.org

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Agesol e il concetto di rinserimento sociale e lavorativo nelle carceri

Agesol è un’associazione onlus volta al rinserimento sociale e lavorativo per persone coinvolte nel circuito penale ed è, in particolare, pensata per «creare i detenuti protagonisti della loro vita e quindi provare anche a reinventarsi come imprenditori», dice Licia Rosselli, direttrice di Agesol, parlando dell’associazione.

«Il carcere è un luogo chiuso, un luogo segregato, soprattutto è un luogo infantilizzante della persona, bisogna chiedere tutto, anche una pastiglia per il mal di testa […]. Anche una breve detenzione […] depriva la persona delle proprie risorse e quindi si deve reinventare completamente.» Da questa affermazione di Licia parte la missione dell’associazione e se ne può comprendere l’importanza. Agesol aiuta a mantenere vive le risorse che fanno parte della persona, ad implementarle e metterle in pratica in tutti gli aspetti sia dentro che fuori dagli istituti di reclusione.

Quale può essere la soluzione per dare accesso al lavoro in modo continuativo per chi è detenuto?

Da questa domanda prende vita il nuovo progetto dell’associazione, pensato per dare possibilità anche a coloro che sono detenuti per un tempo maggiore, di formarsi per un’occupazione che gli garantirà delle possibilità nel futuro. Inoltre, come sottolinea Corrado Coen, collaboratore di Licia, è un servizio anche alla socialità perché «il carcere non è quel posto dove dimenticarsi degli esseri umani, ma dove possano essere aiutati a trovare una strada».

Il progetto prevede delle fasi di sviluppo: una è la creazione di uno spazio sempre aperto tra domanda e offerta con la messa a disposizione di un database dove caricare annunci di ricerca di figure professionali e quindi cercare le compatibilità all’interno degli istituti di pena; un’altra è la realizzazione di incontri tra detenuti e aziende alla scoperta delle varie realtà lavorative e la sponsorizzazione di un laboratorio creativo per aspiranti imprenditori.


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Manifesto delle scuole, gli studenti chiedono un cambiamento

Con la pandemia, gli studenti hanno conosciuto diversi disagi che, forse, prima non erano presenti. A partire dalla didattica a distanza, alle continue aperture e chiusure delle strutture, finendo con la comparsa di problemi anche a livello psicologico, spesso sottovalutato. I danni, secondo Damiano Bettega di Unione studenti Lombardia, «saranno soprattutto a livello di rapporti umani tra gli studenti, perché la scuola era uno spazio anche di socialità soprattutto per gli individui più piccoli».

Con il proseguire delle vaccinazioni, si presume che anche la scuola riparta a pieno regime nel prossimo anno scolastico, ma il rischio più grande in tutto ciò sarà la presenza di criticità mai colmate. Ma in che senso? I metodi di insegnamento tradizionali hanno, come tutto, delle sfumature bianche e nere, e allo stesso modo le ha la didattica a distanza. Dopo più di un anno di pandemia, il rischio di non aver risolto le precedenti difficoltà può portare a trovare nell’ambiente scolastico una maggior tensione. Proprio per questo, i giovani di Unione Studenti Lombardia hanno creato la campagna “Cantiere Scuola, apriamo i cantieri e ricostruiamo i diritti”, con l’obbiettivo di lanciare dal basso, scuola per scuola, delle assemblee di discussione tra studenti, per costruire un manifesto nazionale della scuola. Il manifesto conterrà delle proposte di riforma a partire dai metodi didattici arrivando a questioni di diritto allo studio.

Damiano racconta che le loro proposte coinvolgono la situazione dei trasporti per gli studenti, rivendicando la necessità di renderli gratuiti, il costo esagerato  dei materiali a supporto della didattica, come i libri, e la modifica delle modalità di insegnamento frontale che spesso non sono stimolanti ne pienamente utili per gli studenti.


Il pacco da giù accessibile a tutti

Il pacco da giù è un sogno di molti ma un privilegio di pochi. Quando arrivano le prelibatezze meridionali in una casa settentrionale non si può far altro che provare emozione. «Una delle gioie più grandi che abbiamo è quando persone siciliane, con origini siciliane, che non tornano a casa da tanto tempo, aprono il pacco e alla prima snasata dicono “Ah ho sentito l’odore di casa”.»

Le parole di Filippo Saleri spiegano al meglio l’essenza di AppaMessina di cui è co-founder. Una startup basata sull’e-commerce di prodotti siciliani che permette a tutti quelli che hanno nostalgia di casa, o che mai hanno avuto il piacere di assaggiare la Sicilia, di poter avere in pochi giorni la tavola piena di sapori del Sud.

«Siamo di Milano tutti e due, quindi nati e cresciuti a Milano, però io ho la casa a Messina da tutta la vita e quindi il sogno è sempre stato di andare a vivere giù. Per amore della Sicilia abbiamo iniziato questa avventura», racconta Federica Mari, co fondatrice della startup. Federica e Filippo hanno sentito l’esigenza di ritrovare i sapori di giù e, pensando che questa esigenza non fosse solo loro, l’hanno ampliata a più persone possibili.

«Siamo andati giù in Sicilia, siamo andati a contattare un po’ di aziende del territorio che producono prodotti di altissima qualità, quindi parliamo di materie prime coltivate dal produttore che le lavora e produce il prodotto finito» spiega Filippo. Una volta avuto il benestare dei fornitori siciliani, la startup ha preso il via. Formaggi, sughi, salumi, confetture, sott’oli, olive, agrumi, e tanti altri prodotti, tutti sapori forti tipici del Meridione.

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Una bottega orientata al futuro

Il bottegaio NoStrano sorge in via Tartini, un luogo dove storicamente si ricordano botteghe e via vai di persone, da qui il nome. Paola Schwarz, vicepresidente della cooperativa Sì, si può fare, lo racconta come «una bellissima realtà e soprattutto un laboratorio pedagogico», parte di un progetto più grande, portato avanti appunto dalla cooperativa di cui Paola si fa portavoce, che si occupa di disabilità cognitiva.

Il bottegaio NoStrano è a tutti gli effetti un negozio di prodotti alimentari biologici ed è gestito da 23 persone di cui 16 con disabilità cognitiva. In negozio le persone con deficit cognitivo sono protagoniste attive, in quanto ricoprono il ruolo di soci proprietari.

In questa realtà, lo scopo non è l’inclusione lavorativa all’interno nel negozio, quanto il punto di partenza per imparare a relazionarsi, rendersi indipendenti ed autonomi, così da poter camminare con le proprie gambe verso il mondo del lavoro. Le persone vengono coinvolte nella gestione totale del negozio, attuando una metodologia che sfrutta la logistica della bottega per implementare il loro senso di indipendenza e autodeterminazione. Una volta acquisite nuove autonomie, queste si vedono utili nel momento in cui la persona va verso una posizione di lavoro inclusiva al di fuori di via Tartini. «Molte delle persone che lavorano con noi poi sono state assunte anche in contesti non protetti» dice Paola, e questo riassume il fulcro del lavoro dei laboratori e della bottega in sé.

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Sorriso Telefono Giovani tende un orecchio ai ragazzi in difficoltà

Quanto costa aiutare le persone? Per alcuni può essere un sacrificio, per altri un’occasione, per Sorriso Telefono Giovani Onlus è un’esigenza da ormai 28 anni.

Spesso i ragazzi non sono a loro agio nel comunicare con la famiglia, si sentono soli o incompresi, hanno bisogno di sfogarsi e di capire quello che provano. Essere adolescenti è una fase delicata e non è scontato incontrare una realtà che riconosca i disagi che, a quell’età, si possono avere. I volontari vengono formati seguendo questa visione empatica, con il fine ultimo di essere utili alle nuove generazioni che tutti i giorni andranno a conoscere. Secondo Maria Pia Bianchi, fondatrice di Sorriso Telefono Giovani Onlus, l’importante è entrare subito in empatia e capire la sofferenza del giovane, così da poter mettere in pratica un ascolto attivo.

Sorriso Telefono Giovani offre ad adolescenti e giovani uno spazio protetto dove poter confrontarsi e trovare sostegno e aiuto nella comprensione delle loro preoccupazioni e problemi. La onlus ha lo scopo di indirizzare i ragazzi che si rivolgono loro verso una soluzione alle questioni che tutti i giorni li tormentano. Telefonare al numero 0270107070 permette ai ragazzi di trovare una persona dall’altro cavo del telefono che li ascolti, che li aiuti a capire l’entità dei loro problemi, cercando la soluzione dentro se stessi e capendo quali stimoli possano servire per rafforzare il loro approcciarsi alla vita di tutti i giorni.

Sorriso Telefono Giovani è attivo dal lunedì al venerdì, dalle 15:30 alle 21:30. Il forum dedicato alle richieste di ascolto degli adolescenti, invece, è sempre in funzione. Un servizio che si propone come intermediario fra la famiglia e gli enti pubblici, garantendo l’anonimato con l’ausilio di strumenti quali telefono, forum ed email accessibili a chiunque.

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Freesome e la lotta alle convenzioni sociali

Bollente è un collettivo di cinque persone con un trascorso artistico diverso, che hanno deciso di unire le forze per una causa che li accumuna tutti. Bollente si propone come gruppo dove poter esprimersi sia artisticamente che per quanto riguarda le proprie esperienze personali.

I ragazzi del collettivo si sono fatti creatori di un cortometraggio che verrà proposto al Lago film festival di Revine Lago. La scrittura del progetto è nata dall’esigenza di andare oltre alle tradizioni, al convenzionale ed eliminare i conflitti che il tempo si porta dietro da anni a proposito dell’amore. Il concetto del queer è la chiave di lettura del cortometraggio dal titolo Freesome, perché il racconto si basa sulla convivenza del mondo interiore che ognuno ha dentro di sé e il mondo esteriore basato su sistemi limitanti.

Il corto narra, nello specifico, dell’incontro di tre persone con background diversi, all’interno di una ex balera situata nel cuore del Veneto, proprio a riprendere il luogo dove il festival ha sede, immaginandolo come punto d’incontro, come un club, dal quale poi nascerà una relazione.

Parla Michele Basile, attore e creative designer appartenente al collettivo: «mi collego al titolo che è Freesome, poi di fatto un gioco di parole, perché nella relazione che si può chiamare Threesome, c’è una particolarità, di fatto si sta applicando un’etichetta ad una relazione di un certo tipo. Il processo che sta dietro al nostro lavoro è proprio quello di non etichettare il tipo di relazione. Da qui nasce l’esigenza di parlare di una relazione che non è necessariamente una relazione di tipo sessuale ma è una relazione che ci parla più di queer family, quindi un senso di famiglia molto più ampio rispetto alle relazioni binarie.»

Un lavoro basato molto sul concetto di affettività, che si propone in tutte le sue forme, senza precludere a nessuno di potercisi ritrovare.


Palcoscenico digitale, parallelismo tra online e offline

La nuova frontiera del teatro, nel momento in cui gli spettacoli non possono avere un pubblico seduto sulle poltroncine, si scova nel digitale. Il teatro, con On Theatre Tv, si sposta nelle case degli spettatori, permettendo loro di assistere alle performance in streaming, pagando il consueto biglietto d’ingresso.

Lo scopo di On Theatre Tv è attribuire lo stesso rispetto di tutti gli altri eventi o trasmissioni online a pagamento, anche agli spettacoli teatrali. «Esattamente come avviene per il calcio, come avviene per lo sport in generale, per il fitness, per il film, perché non proporre la visione di spettacoli in streaming a pagamento?» Da questa domanda, Massimo Fiocchi Malaspina, co-founder di On Theatre Tv, sviluppa la piattaforma che oggi si è fatta palcoscenico per artisti di tutta la penisola. Massimo aggiunge: «Siamo sicuramente una startup ma la nostra mission è quella di proporci come servizio per teatri, singoli artisti, compagnie che attraverso la piattaforma possono e hanno potuto avere un indotto economico dal loro lavoro anche durante questi mesi»

On Theatre Tv è quindi una startup nata in periodo Covid, che per quanto sia stata pensata per trovare una soluzione al vuoto culturale che la chiusura del paese ha portato, ha trovato nel digitale un’opportunità piuttosto che un’alternativa. Trasmettere gli eventi in streaming permette di conoscere nuove realtà, che se interessanti vorranno essere, poi, anche viste dal vivo. On Theatre Tv quindi, oltre ad essere una piattaforma digitale che propone spettacoli teatrali on-demand, è anche una piattaforma conoscitiva.

Avere la possibilità, per teatri e compagnie, anche dopo la pandemia, di poter garantire sia lo spettacolo dal vivo che in streaming, è anch’essa un’occasione in più per ampliare il proprio pubblico. Massimo Fiocchi Malaspina sottolinea infatti che questa attività è parallela a quella in sede, non solo un’alternativa temporanea.

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WeWorld, l’antidoto alla violenza sulle donne

Empowerment femminile, violenza di genere e stereotipi di genere, tutto questo è il WeWorld Festival. Torna, con l’undicesima edizione, l’appuntamento annuale organizzato da WeWorld Onlus, dal 21 al 23 di maggio, in una nuova location: Base Milano.

Le novità di quest’anno sono molte: incontri, dibattiti, workshop, mostre fotografiche, performance teatrali e proiezioni.

Greta Nicolini, coordinatrice della comunicazione di WeWorld, spiega: «abbiamo deciso di rischiare e sbarcare con l’undicesima edizione con una formula totalmente nuova per cui tutto il festival sarà anche in streaming […]. Quello che noi speriamo è che attraverso questi tre giorni ci si possa un può commuovere ma anche fare qualche risata perché, appunto, crediamo che sia proprio un modo per sensibilizzare anche quello di portare contenuti più leggeri per parlare dei nostri temi.»

L’idea che gira intorno al festival, racconta Greta Nicolini, è quella di «arrivare con forza ad un pubblico più ampio possibile, quindi non solo quello che è interessato ai nostri temi. Questo è il motivo per cui all’interno del festival tantissima parte la fa la fotografia […] ma non solo, c’è tutto il tema dei live ma anche progetti speciali.»

Gli ospiti sono tanti, si contano attori e attrici, fotografi e fotografe, giornalisti, giornaliste, scrittori, scrittrici, artisti e artiste di ogni calibro. Si è cercato, in questo modo, di unire più punti di vista così da arrivare alle orecchie di tutte le persone, sia giovani che adulti.


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Le difficoltà nel gestire un centro di permanenza per il rimpatrio

Versoprobo SCS, cooperativa sociale vincitrice del bando 2020 relativo alla gestione del CPR di via Corelli, nasce nel 2009 come cooperativa impegnata in attività assistenziali e produzione lavoro, sei anni dopo entra anche nel mondo dell’accoglienza migranti.

Federico Bodo, psicologo e direttore del centro per il rimpatrio, racconta il motivo per il quale, Versoprobo SCS si è voluta impegnare nella gestione del centro: «provare ad impostare un lavoro all’interno del CPR Corelli, quindi da zero, in un CPR che non era ancora aperto, che puntasse al sociale con l’obbiettivo principe di fornire a tutte le persone ospitate all’interno del CPR, trattenute all’interno del CPR, uno strumento in più nel momento in cui dovessero uscire

Il CPR, però, non si è dimostrato un luogo dove poter mettere in pratica l’obbiettivo che Federico e la cooperativa hanno affermato di avere. Pensando di trovarsi davanti una struttura che avesse, a livello normativo, uno spazio di manovra, in realtà la cooperativa si è trovata davanti molti ostacoli, sormontabili solo se le normative sui centri per il rimpatrio verranno modificate.

Per quanto Versoprobo SCS gestisca i servizi all’interno del centro, non sono loro a decidere effettivamente chi entra o esce dalla struttura, ma sono la prefettura e la questura. La stessa cooperativa si interroga sui motivi (mancanza di documenti) per i quali le persone si ritrovino all’interno del CPR: «considerato che esiste un reato di clandestinità istituito ormai all’inizio degli anni 2000, che deve prevedere necessariamente anche una modalità di espatrio di queste persone […] è normale che esitano strutture di questo tipo. […] Il problema è quando questo meccanismo di rimpatrio rallenta vertiginosamente.»

Secondo Federico Bodo quindi i disagi che si riscontrano all’intero dei CPR derivano tutti dal processo di espatrio: lento, spesso portato avanti per mesi, quando invece (lo dice la legge) dovrebbe durare molto meno.


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